Gianpiero Samorì, leader dei Moderati in rivoluzione, esponente di FI e candidato azzurro alle elezioni europee, non crede alla riduzione delle tasse annunciata dal premier Renzi

di Antonio Signorini

Gli 80 euro sono una regalìa elettorale destinata a esaurirsi. Le riforme del governo, non sono niente rispetto a quello che servirebbe al paese: tagli strutturali delle imposte, credito a imprese e famiglie, un piano per la riqualificazione edilizia e uno per i beni culturali.

Proprio non crede agli 80 euro in busta paga?

«Di per sé, fosse una misura strutturale che riguarda redditi inferiori, sarebbe una cosa importante. Ottanta euro per chi ne guadagna 1.200 sono la spesa di una settimana. Il problema è che la misura del governo, per come è costruita, è l’esatta replica dei pacchi Eca».

Prego?

«Ente comunale di assistenza. Tanto tempo fa, quando si avvicinavano le elezioni mandavano pacchi ai poveri che poi davano il voto a l’uno o all’altro partito. Gli ottanta euro si sono trasformati in una presa in giro, vista la concomitanza delle elezioni e poi l’introduzione di costi che pesano sulle stesse fasce di redditi a cui andranno. Si aumentano del 4% i pedaggi autostradali, aumenta la benzina. Anche l’aumento dell’imposizione sulle rendite finanziarie che non fa differenza tra gli importi, penalizza i meno benestanti. Tutti questi cosi resteranno anche quando la misura degli ottanta euro non sarà reiterata».

Quindi lei dà per scontato che il bonus tra un po’ non ci sarà più?

«Impossibile sia confermato. È incostituzionale visto che si riferisce solo ad alcune categorie di reddito. Il bonus lascia soperti proprio quelli che hanno retribuzioni più basse quindi viene meno principio ugualianza. Una soglia massima si, ma una minima è impossibile».

Quindi cosa servirebbe sul fisco?

«Riduzioni strutturali dell’Irpef, integrazione per i redditi minimi. Il governo ha preferito puntare su quelli intermedi per una semplice manovra elettorale. Sono 10 milioni contro 5 milioni di incapienti».

Altre riforme necessarie?

«In primo luogo il credito bancario. Con il consenso criminale delle nostre burocrazie abbiano approvato in Europa una serie di normative che ignorano la natura della nostra economia. Il nostro tessuto produttivo è fatto di piccole e medie imprese e abbiamo creato un sistema di erogazione del credito che premia le aziende strutturate e grandi. Il risultato è che le nostre Pmi sono in via di estinzione».

Sul credito lei ha fatto una battaglia sulla Bce. È ancora valida?

«Certo. La Bce ha erogato 130 miliardi alle banche italiane, praticamente a tasso zero e senza un vincolo di destinazione formale. Le banche hanno tesaurizzato tutti questi soldi, investendoli in titoli di Stato. Così hanno risanato i loro asfittici bilanci lucrando sulla differenza, ma in questo modo all’economia reale non è arrivato nulla. Anzi, sono stati ridotti gli affidamenti. Bisognava destinare almeno il 50% dei soldi della Bce al credito per l’economia reale».

A questo punto è ancora possibile?

«Io propongo due alternative: o la Bce impone alle banche in sede di rinnovo di questi fidi che almeno il 50 per cento vada a incrementare il credito a famiglie e imprese, oppure bisogna costruire una banca pubblica italiana che abbia come unica funzione quella di erogare finanziare famiglie e imprese».

Altre proposte europee?

«Destinare tutti i fondi stuturali a intervenit unici specifici. Innazitutto la demolizione del patrimonio immobiliare obsoleto e la sua riqualificazione. Così si può fare ripartire l’edilizia e favorire la nascita di aziende di eccellenza che poi possono operare nei mercati internazionali. Allo stesso modo bisogna riqualificare il patrimonio culturale, storico e artisico. Sono le uniche cose che gli altri non ci possono rubare. Poi la formazione».

Il premier Renzi punta molto sul piano per le scuole…

«Più che investire sui plessi, bisognerebbe investire sui processi di formazione delle future generazioni. Un investimento a lungo termine, ma è fondamentale. Se e quanto saremo ricchi in futuro lo decidiamo oggi con gli investimenti sulla formazione».

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